Le manifestazioni cliniche più evidenti dell’infezione da SARS-CoV-2 ricordano quelle dell’influenza, ma il quadro clinico della COVID-19 è molto più complesso: se la maggior parte delle persone contagiate guarisce dall’infezione senza complicanze, in circa il 20% dei casi i pazienti vanno incontro a gravi polmoniti e a insufficienza respiratoria.
Per capire come uno stesso virus possa causare una simile varietà di risposte cliniche, è importante considerare le quattro fasi del processo patogenetico.
Le diverse fasi
Nella prima fase del processo patogenetico, il virus penetra nelle prime vie respiratorie e, sfruttando il recettore ACE2 (enzima), infetta le cellule della mucosa nasale. In questa fase la persona è contagiosa, ma può essere asintomatica.
Nella seconda fase, il virus si diffonde nell’albero respiratorio discendendo lungo le vie aeree, causando i primi sintomi; in questa fase spesso diventano evidenti i segnali della risposta immunitaria innata.
Nel 20% circa dei pazienti, la patologia evolve verso la terza fase, caratterizzata da polmoniti e difficoltà respiratorie. In questa fase il virus raggiunge, infatti gli alveoli polmonari, il sito in cui si verificano gli scambi di gas respiratori tra sangue e aria. Infettando le cellule che rivestono gli alveoli, il virus scatena una risposta infiammatoria che porta al rilascio di citochine infiammatorie (proteine mediatrici) e richiama cellule immunitarie. Questa reazione può danneggiare l’epitelio che riveste gli alveoli favorendo l’ingresso di fluido dai capillari che li circondano e impedendo gli scambi respiratori: iniziano a questo punto a comparire le difficoltà respiratorie.
Nella quarta fase, il paziente può sviluppare la cosiddetta “tempesta di citochine”, una sindrome caratterizzata dall’ iper-attivazione delle risposte immunitarie e dal rilascio incontrollato di citochine infiammatorie: gli effetti si ripercuotono su tutto l’organismo, causando a tutti gli organi danni gravi o addirittura fatali.
Perchè alcune persone sono più vulnerabili agli effetti del coronavirus
Le persone anziane, con patologie croniche o immunocompromesse sono le più a rischio. Ma nel caso dell’infezione da coronavirus potrebbero entrare in gioco anche fattori ambientali e comportamentali o genetici. Infatti, il gene che codifica per il recettore ACE-2 si trova sul cromosoma X; nel caso in cui un polimorfismo in particolare sia responsabile di un’aumentata vulnerabilità all’infezione, le donne eterozigoti potrebbero essere più protette, perché presentano due copie del gene.